Cosa ha significato la scoperta del DNA per la medicina moderna? 

71 anni fa, il 28 febbraio 1953, Francis Crick e James Watson annunciarono per la prima volta di aver scoperto la struttura di una macromolecola a doppia elica che avrebbe cambiato la storia della scienza e della vita dell’uomo: il DNA

Ma cosa ha significato questo per la medicina moderna? 

DNA: la scoperta rivoluzionaria

Una doppia catena formata da quattro nucleotidi alternati in sequenza (Adenina, Guanina, Citosina e Timina) e presente in tutti gli esseri viventi. Che il DNA esistesse era noto ben cento anni prima della sua scoperta, sebbene nessuno fosse riuscito a identificarne la composizione. Friedrich Miescher, ad esempio, aveva notato che ogni cellula contenesse nel proprio nucleo una sostanza acida, mentre Gregor Mendel, grazie ai suoi esperimenti, dimostrava l’esistenza di meccanismi di eredità. 

Proprio sulle tracce di Mendel, nella prima metà del Novecento, furono numerosi gli studi di biologi, medici e chimici a interrogarsi sulla natura dei geni.  Fu però solo all’inizio degli anni Cinquanta che Crick e Watson, mettendo insieme i numerosi studi condotti nel tempo, riuscirono a ricostruire il primo modello di DNA. Va ricordato, con questo, che la conferma definitiva avvenne grazie alla celebre Fotografia 51 di Rosalind Franklin, la chimica che per prima riuscì a immortalare con una fotografia una molecola di DNA in cui era possibile riconoscere la struttura a doppia elica. 

Che cosa ha significato il DNA per la medicina? 

Fin dalla sua scoperta, fu chiaro che il DNA avrebbe rivoluzionato il campo della medicina. Da quel momento e, soprattutto, dai successivi anni, le pratiche mediche si sono evolute passando da un approccio basato principalmente sui sintomi, a uno basato sulla comprensione delle cause genetiche sottostanti alla malattia. La scoperta del DNA, infatti, ha permesso ai medici di indentificare le cause di molte malattie ereditarie, sviluppando, di conseguenza, trattamenti mirati e personalizzati

Inoltre, conoscere il patrimonio genetico di un individuo ha permesso lo sviluppo di test genetici predittivi che possono identificare il rischio di sviluppare determinate malattie, consentendo ai medici di intraprendere azioni preventive o diagnosticare le malattie in fasi precoci.  

Ciò che più ha smosso il mondo scientifico è, però, la ricerca di un potenziale terapeutico e la possibilità di modificare il codice genetico per poter prevenire malattie di tipo ereditario. Questi studi hanno dato una spinta al campo della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica, aprendo un dibattito nella comunità scientifica sulle sfide etiche e sui pericoli che si prospettavano. 

Uno sguardo sul futuro: il Progetto Genoma Umano 

Quando dagli anni Settanta dello scorso secolo diventò chiara l’esistenza di enzimi di restrizione capaci di tagliare e sostituire pezzi di DNA, la comunità scientifica cominciò a discutere della possibilità di intervenire sul genoma umano. Fin da subito venne preso in considerazione il potenziale terapeutico di tecnologie che fossero in grado di alterare il DNA e di cercare di correggere le mutazioni associate all’insorgenza di alcune patologie.  

Dagli anni Ottanta nacque, dunque, il Progetto Genoma Umano che aveva lo scopo di individuare ed eliminare i geni difettosi e di comprendere l’insorgenza di molte malattie come, ad esempio, il cancro. Protrattasi per quasi un ventennio, l’impresa ha consentito di sviluppare, negli ultimi decenni, terapie genetiche, cellulari e tissutali molto avanzate. Grazie a queste, oggi è possibile curare malattie fino a molti anni fa incurabili come, ad esempio, alcuni tumori del sangue infantile o ricostruire e rigenerare interi tessuti.